Dove siamo tutti quanti? Non sentiamo che il vociare confuso del nevrasse, i capricci dell’encefalo, il sistema nervoso centrale è il nostro unico referente, che ha il compito di ri-ferire, di ri-ferirci.
Dove siamo tutti quanti? Esiste ancora un modo per comunicare o siamo riservati all’incomunicabilità, all’afasia, a divenire terreni aridi, non produttivi, disabitati, solitari, desertificati, destinati a non cercare fratellanze, ad acutizzare una misantropia che genera dipendenza?
Dove siamo tutti quanti? L’incomunicabilità è un valore? Ci istiga a cancellare l’essere a favore del non-essere? L’io è solo un palcoscenico sul quale si agita disordinatamente una molteplicità di impulsi e motivazioni?
Dove siamo tutti quanti? L’incomunicabilità emancipa dall’io? Può farci riconoscere in un pensiero nuovo, indipendente, estraneo alla coscienza individuale?
L’opera prende spunto dal paradosso di Fermi: “Dove sono tutti quanti?”, che si interroga sulla contraddizione insita nel fatto che non vediamo civiltà aliene mentre ci attenderemmo segnali o indizi della loro esistenza. Ne è una metafora.