2016 / installazioni ambientali
installazione ambientale, legno verniciato e marmo di Carrara inciso a sabbia, dimensioni variabili
Estratto dal testo CHORA | territorialità spurie, di Donato Faruolo
[…] Suicide Girls (2016) di Marcello Mantegazza è un’installazione ambientale consistente in sette cubi di legno bianco di 24 centimetri per lato che riportano in sommità una lastra di marmo di Carrara. Su ognuna delle sette lastre è inciso il nome di una poetessa suicida (Virginia Woolf, Sylvia Plath, Antonia Pozzi, Anne Sexton, Marina Ivanovna Cvetaeva, Alfonsina Storni Martignoni, Amelia Rosselli). Le lapidi, prese singolarmente, sono il risultato della più determinata tensione verso il prototipo della lapide funeraria: marmo di Carrara arabescato di grigio, carattere graziato, composizione a epigrafe, incisione del nome su pietra. A questo sforzo di anaffettività e privazione di sensi, fa da contraltare la fredda attitudine al catalogo, alla lista, al censimento, all’inventario, condotta con abnegazione e controllo verso il più rigoroso degli esiti. Il corto circuito tra indagine del tema mortuario e applicazione di un algoritmo classificante riesce a scatenare un profondo senso di disturbo dovuto alla capacità di Marcello di anatomizzare gli immaginari per poi condurli al vivo del trauma, per far emergere l’innocente atrocità che è in essi. Come spesso accade nelle sue opere, un titolo irridente e amaro dai toni pop: Suicide Girls non è solo la descrizione del tema dell’opera, ma è anche il nome di una nota community di donne tatuate amanti di una fotografia dalle edulcorate estetiche punk.
Suicide Girls – anatomia del lavoro
Suicide Girls è una catalogazione, un campionario privato, un inventario fatto di nomi. Di poetesse suicide. Capaci di ‘sentire’, avvertire stati di coscienza indotti da un mondo a loro estraneo e sentirli in maniera amplificata attraverso i sensi che in questo caso diventano premonitori di oscuri protocolli di morte. Custodi di livelli di energia più antichi e profondi di quelli comunicati dal significato più esplicito, madri depositarie dell’’immaginazione auditiva’. C’è una ritualità importante e tremenda nei loro gesti estremi, perché tutto abbia senso. C’è in questo lavoro la necessità di spostare il mio rapporto personale, intimo con la letteratura, il testo, il linguaggio, verso una comunicazione più fluida, immediata, definitiva. Il lavoro resta legato a forme letterarie, alla comunicazione senza tempo del testo. La scelta del marmo di Carrara, materiale pregiato, con forti rimandi all’arte funeraria, alle epigrafi, alle iscrizioni, ma anche alla toponomastica, ne fa pertanto monumento minimalista, nel senso etimologico della parola (dal latino monumentum, “ricordo”, da monère, “ricordare”) in cui l’intento del testo è quello di tramandare la memoria, se pur per un breve lasso di tempo, prima dell’oblio e quindi della sospensione e scomparsa del ricordo stesso.
Marcello Mantegazza